L'ansia, una nemica a mica

L’ansia è uno stato psicofisico caratterizzata da sensazioni di tensione, minaccia, preoccupazioni e modificazioni fisiche, come aumento della pressione sanguigna (http://www.stateofmind.it/tag/ansia/).

Spesso chi soffre di problemi legati all’ansia non riesce a vedere uno sbocco possibile per quello che è il suo malessere, e lo scopo per cui si rivolge a uno specialista del settore medico e psicologico è quello di eliminare questa reazione, quasi fosse una sorta di cancro per la propria vita.

Questa è una reazione normale e comprensibilissima, in quanto i sintomi ansiosi possono portare a diverse patologie croniche e a uno stato di sofferenza psicofisica cronica invalidante per quel che riguarda la qualità della vita. Eliminare la radice psicofisica e le emozioni invalidanti quali, ad esempio, paura e rabbia a essa connesse, sembra essere in effetti una soluzione ragionevole. La ricerca scientifica in ambito evoluzionista, invece, di consegna un altro possibile modo di vedere le cose. E se l’ansia fosse un meccanismo che può salvarci la vita?

La teoria del Cervello Tripartito del Dottor Mclean (neurologo statunitense) ci restituisce una visione interessante della natura umana. Secondo questa teoria, il cervello potrebbe essere ripartito in tre diverse sezioni che si originano da diversi passaggi dell’evoluzione. 

  • Il Complesso R, o cervello rettiliano, che si occupa dei bisogni primari (alimentazione, riproduzione, territorialità e predazione). Questa parte è la più istintiva del nostro cervello e ci permette di sopravvivere alle insidie naturali.
  • Il cervello Limbico, che si occupa dei bisogni innati di socializzare e di comunicare in maniera semplice e veloce con i propri conspecifici. Questa è la zona del cervello che gestisce le emozioni e in parte le relazioni sociali con gli altri esseri umani.
  • Neocorteccia, la parte più complessa del cervello che gestisce il bisogno innato unico dell’essere umano di dare significato alla propria vita. Questa zona cerebrale è dedicata al linguaggio e alla memoria di quello che noi siamo e siamo stati. In qualche modo, questa parte ci dà la coscienza di noi stessi e del mondo che ci circonda.  

La maggior parte dei comportamenti e delle sensazioni che noi proviamo attivano tutte le parti del cervello, a volte in maniera armoniosa altre volte in maniera conflittuale.

Il Complesso R, in particolare, è quello che, tramite l’attivazione del sistema nervoso autonomo (ortosimpatico e parasimpatico) ci permette di sopravvivere a un pericolo imminente. Appena il sistema percepisce il pericolo, aumenta la tensione muscolare, la frequenza del respiro e il battito cardiaco ancora prima che noi stessi ci rendiamo conto della presenza del pericolo. Questa attivazione ci consente di fuggire o attaccare più velocemente quando siamo in pericolo. Questo meccanismo di attacco/fuga è talmente rapido e istintivo che a volte non ne comprendiamo l’origine. Questo perché, quando ad esempio una tigre dai denti a sciabola era nei paraggi, non c’era il tempo di ragionare sul da farsi, quindi l’evoluzione ci ha fornito un meccanismo che ci permettesse di salvarci la pelle.

La sintomatologia ansiosa riportata da molte persone sembra ripercorrere questo tipo di attivazione. L’unica differenza è che, spesso, il pericolo che attiva questa risposta fisiologica non è un predatore reale ma una parte dei nostri pensieri che ci fanno sentire ugualmente in pericolo. Solo perché il pericolo è nella nostra mente o nel rapporto con gli altri, non significa che questo pericolo non sia reale per noi. Tuttavia, secondo questa cornice teorica l’ansia risulta essere un mero segnale che il corpo da a noi per segnalarci un pericolo. Per questo motivo spegnere il segnale non solo risulta inutile ma per certi versi deletereo.

Inoltre, per quel che riguarda le emozioni invalidanti come la paura e la rabbia, si può fare un discorso simile. Esse, infatti, rappresentano modi di comunicare (tramite il cervello limbico) alcuni nostri bisogni ai nostri conspecifici. Anche in questo caso, l’evoluzione ci ha regalato dei modi semplici e veloci d’interagire senza passare dal linguaggio, ovvero appunto le emozioni. Da questo punto di vista, quindi, le emozioni non sono una malattia da eliminare ma un qualcosa che comunica a noi e agli altri il nostro stato di benessere o malessere.

Il lavoro che si svolge quando ci prendiamo cura dell’ansia, non risulta quindi essere tanto sull’eliminazione di questo modo di reagire, ma sul tentativo di gestirlo e di capire da quali pericoli e disagi questo meccanismo sia indotto. La ricerca scientifica (ad esempio Porges, 2010) si sta prodigando affinché le persone comprendano quanto questi meccanismi innati siano importanti per la sopravvivenza, e quanto sia inutile combatterli senza vedere il quadro d’insieme che li genera.

Per combattere gli stati ansisiosi bisogna comprenderli ed accettarli in prima battuta, e in un secondo momento capire come imparare a gestirli e a gestire le situazioni che le creano.